Italia prima in Europa nell’Economia circolare, ma migliorare ancora si può
Il nostro Paese sale di un punto e si attesta nuovamente ad essere primo in Europa ma, di fronte alle altre economie comunitarie che corrono e migliorano di anno in anno, si pone necessaria oggi una revisione generale sul tema dell’economia circolare in Italia. In sintesi è questo il resoconto del primo “Rapporto nazionale 2019 sull’economia circolare”, presentato in data 1° marzo, e realizzato dalla Circulary Economy Network, una vera e propria rete promossa dall'Associazione per lo sviluppo sostenibile e 13 aziende e associazioni di imprese, oltre che da Enea. In questa classifica annuale il nostro Paese batte così, con un punteggio di 103 gli altri Stati europei, seguono, ma ancora a bella distanza: il Regno Unito (90 punti), la Germania (88), la Francia (87) e la Spagna (81). Un primato però che, come già detto, non deve farci adagiare sugli allori poiché, pur essendo ancora saldo il vertice della classifica, guardando l’avanzamento dell'indice di circolarità (che tiene conto del valore attribuito al grado di uso efficiente delle risorse, utilizzo di materie prime seconde e innovazione nelle categorie produzione, consumo, gestione rifiuti), ci rendiamo conto che in questo ultimo anno l’Italia ha guadagnato un solo punto, mentre ci sono Paesi che sono andati avanti, anche grazie al nuovo pacchetto di direttive approvato nel luglio scorso (la Francia è avanzata, infatti, di ben sette punti, la Spagna che ha scalato la classifica ne ha guadagnati ben 13). E quindi, per continuare a crescere, si dovranno riuscire a recepire pienamente le politiche europee, ma soprattutto si dovrà cercare di far partire i decreti che regolano lo sfruttamento di quelli che, tecnicamente, sono ancora considerati rifiuti. L’economia circolare prevede, infatti, lo sfruttamento di risorse che sono state già utilizzate, ma a cui è possibile dare nuova vita.
La nostra penisola detiene saldamente questo primato da diverso tempo, dimostrando uno sforzo non indifferente per far sì che ciò che viene prodotto e consumato tutti i giorni non finisca tra i rifiuti, ma venga recuperato, perché le risorse del pianeta Terra non sono infinite e, cosa ancor più importante, i rifiuti non vadano a inquinare mari, specchi d'acqua e interi territori. Un lavoro che va avanti da diversi anni, spesso senza fare troppo clamore, e che è stato sposato da parte di quel mondo che i rifiuti li produce in massa, anche a livello industriale. C’è da ricordare poi, ancora una volta, che quello dell’economia circolare è un modello economico che, oltre a fare bene al nostro Paese ed ai nostri cittadini, produce occupazione: nel settore del riciclo, del riuso e della riparazione l'Italia registra, infatti, un’occupazione pari al 2,1% al di sopra della media Ue a 28, che si attesta a quota 1,7%. Risultati importanti che meritano di essere ulteriormente migliorati affinché la nostra performance nazionale ed europea possa rimanere costante. Ma, affinché i traguardi raggiunti siano un trampolino di lancio per le sfide future, si rende necessario , come è richiesto a gran voce anche da molti addetti al settore, anche un piano di strategia nazionale adeguato, che sappia includere i famosi decreti sull’End of Waste permettendo ai numerosi progetti industriali in attesa di attuazione di partire rendendo così molto più rapida la procedura per i decreti ministeriali e non ostacolando il riciclo che coinvolge oltre 7 mila impianti industriali in Italia. I tentennamenti e le scelte contraddittorie che arrivano dalle aule parlamentari e dai corridoi dei ministeri, infatti, non aiutano. Servirebbe, invece, una visione politica e amministrativa ancora più lungimirante nel manovrare adeguatamente le leve della spesa pubblica, della fiscalità e degli incentivi all’innovazione in favore dell’economia circolare.
La percentuale di riciclo dei rifiuti in Italia, un dato che include il trattamento dei rifiuti industriali su cui il nostro Paese ha buone performance, è pari al 67%, nettamente superiore alla media europea (55%) portandoci al primo posto rispetto alle principali economie europee. Lo smaltimento in discarica per l’Italia è, però, al 25%, in linea con la media europea, ma con valori ancora elevati rispetto ad altre realtà come la Germania, la Francia e il Regno Unito. Restano, come note dolenti, criticità da tempo conosciute, come i ritardi di alcuni territori nella gestione dei rifiuti urbani e una fortissima carenza di impianti, soprattutto in alcune aree. Il Rapporto presentato pochi giorni fa individua, poi, anche un vero e proprio decalogo di proposte su cui puntare per rilanciare l’economia circolare e incrementare la sostenibilità ambientale, riducendo emissioni di gas serra. I 10 consigli sono i seguenti: “Diffondere e arricchire la visione, le conoscenze, la ricerca e le buone pratiche dell’economia circolare: il risparmio e l’uso più efficiente delle materie prime e dell’energia; l’utilizzo di materiali e di energia rinnovabile; prodotti di più lunga durata, riparabili e riutilizzabili, più basati sugli utilizzi condivisi; una riduzione della produzione e dello smaltimento di rifiuti e lo sviluppo del loro riciclo”. Nel decalogo si legge poi ancora quanto sia fondamentale: “assicurare le infrastrutture necessarie per l’economia circolare e istituire un’Agenzia per l’uso efficiente delle risorse. Infine, estendere l’economia circolare anche al commercio on line dove prezzi convenienti, facilità d’acquisto e consegna a domicilio stanno alimentando una forte crescita del commercio di prodotti usa e getta non riparabili, difficilmente riciclabili, distribuiti con imballaggi voluminosi, alimentando così un modello di economia lineare che aumenta gli sprechi di risorse”.
Per molto tempo, inutile girarci attorno, molte aziende hanno considerato la sostenibilità poco più di un blasone da mettere accanto al loro marchio, una marca “green” in maniera tale da dare più valore al brand presentato. Con il tempo, però, si è passati da un atteggiamento eticamente necessario ad uno economicamente interessante nonché vantaggioso: la sostenibilità è diventata così un fattore di competitività. La direttiva europea sull’economia circolare, i 17 obiettivi indicati dall’Onu, nonché il quadro normativo nazionale sono tutti orientati verso questo cambiamento: la sostenibilità è diventata così un punto di forza, per le generazioni future, ma anche per quelle presenti. E quindi quell’aggettivo un tempo utilizzato per migliorar la propria visibilità e reputazione, è ora parte integrante e imprescindibile della new economy. Cambiare il modo di lavorare per ridurre l’impatto (negativo) sul territorio, sul consumo dei suoli e magari diventare motori green dell’economia è una caratteristica di cui oggi nessuna azienda può più fare a meno.