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18 aprile, 2019

RECO’ festival e Commissione europea, insieme per l’Economia circolare

A fine marzo, precisamente tra il 21 ed il 24, è andato in scena in Toscana il festival Recò. Un evento che ha portato a Prato il dibattito sull’Economia Circolare, proponendo “un nuovo modo di pensare l’economia, una nuova maniera di immaginare prodotti e processi di produzione virtuosi, poco impattanti, equi e ad alto valore sociale e territoriale”. Il festival “Recò” è stato realizzato al fine di conoscere ed interagire con le migliori pratiche nell’ambito della sostenibilità a favore di un sistema economico pensato appositamente per potersi rigenerare da solo.

Come dimostrava lo scorso anno la ricerca di Symbola dal titolo “100 Italian Circular Economy Stories” l’economia circolare, impattando su numerose dinamiche, è già una realtà nel nostro Paese. Tuttavia, anche dal basso si può fare qualcosa partendo magari dalle buone prassi esistenti nei territori. Non sorprende, quindi, che durante l’evento sia stato firmato anche un protocollo d’intesa per la realizzazione di un centro di innovazione dedicato ad attrarre investimenti sul territorio con i quali creare start up ad alto impatto sociale ed ambientale ispirate ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030. Il progetto in questione promette di riqualificare l’area del fiume Bisenzio con la promozione, non solo di sani stili di vita, ma anche di nuovi lavori e nuovi progetti orientati ai temi della riqualificazione ambientale, culturale e paesaggistica realizzati grazie ad un innovativo centro interamente dedicato alle acque interne e al turismo nautico. Dagli antichi mulini fluviali, alle moderne industrie tessili la città di Prato si è sviluppata anche grazie alle sue vie d’acqua, da sempre fonte di vita e di sviluppo per il territorio Toscano. Non a caso mi sembra doveroso soffermarmi su questo tema, dato che proprio in questi giorni si celebra la giornata mondiale dell’acqua, un bene essenziale che, per l’importanza che ha nelle nostre vite, merita di essere preservato e valorizzato.

Per una crescita sostenibile è necessario, però, rivedere criticamente il nostro rapporto non solo con il consumo di cibo ed acqua, ma anche con tutte le risorse di cui usufruiamo. Considerando che ogni anno l’economia mondiale consuma circa 93 miliardi di tonnellate di materie prime destinate all’industria e che di questi soltanto 9 miliardi vengono riutilizzati (ed il 62% delle emissioni di gas serra avviene proprio nella fase di estrazione e lavorazione delle materie prime, mentre il 38% nella fase di consegna e utilizzo dei prodotti), occorrerebbe inevitabilmente una rivoluzione culturale a tutto campo che riesca a coinvolgere i cittadini, il sistema economico/legislativo e, infine, l’intera classe dirigente. Secondo i dati che emergono dall'edizione 2019 del “Circularity Gap Report”, report stilato da Circle Economy sullo stato di salute dell'economia circolare, infatti, si evince che solo il 9% dei 92,8 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa che entrano nell'economia viene riutilizzato attraverso politiche economiche di riciclo e riutilizzo. Il restante 91% segue, invece, ancora il solito modello di economia tradizionale, con tutte le conseguenze pericolose per l’inquinamento che da essa derivano, (come viene ricordato anche dal rapporto ONU). In questo scenario preoccupante l’economia circolare potrebbe rappresentare davvero la soluzione, nonché l’unica strada percorribile per il nostro pianeta, ben vengano a tal riguardo, quindi, anche le recenti direttive UE sul tema.

La Commissione europea, al fine di stimolare la transizione dell'Europa verso un'economia circolare volta a rafforzare la competitività globale e a promuovere una crescita economica sostenibile che generi nuovi posti di lavoro, ha da poco pubblicato una relazione completa sull’attuazione del piano d'azione per l'economia circolare adottato nel dicembre 2015 presentando così i principali risultati, ad oggi, ottenuti, e delineando le sfide ancora aperte per il futuro. A tre anni dalla sua adozione, il piano d’azione può dirsi pienamente completato, considerato che le azioni previste sono state già attuate o sono in fase di attuazione. Il numero, pari a 54, delle azioni già decise e avviate è indicativo della vastità del cambiamento in atto a livello europeo. Queste azioni, in attività e settori rilevanti di questo cambiamento, hanno contribuito ad aumentare l'occupazione per circa 4 milioni di unità. L'economia circolare sta incrementando attività esistenti e promuovendone nuove: nei settori delle riparazioni, del riuso e del riciclo nel 2016 sono stati generati 147 miliardi di valore aggiunto e 17,5 miliardi di investimenti. L'International Labour Organization (ILO) in un recente rapporto stima, inoltre, una crescita globale dell'occupazione dello 0,1% (circa 6 milioni di posti di lavoro) entro il 2030 grazie all’economia circolare. Si tratta di stime nette che sono le risultanze dei nuovi lavori creati e di quelli che diminuiranno, si prevede, infatti, un calo di circa 28 milioni di posti di lavoro nel settore della manifattura legata alla produzione di ferro e acciaio o 20 milioni di posti di lavoro nell'ambito dell'estrazione di rame. Allo stesso tempo ci sarebbe una crescita di circa 31 milioni di occupati nelle imprese che riprocessano l'acciaio vecchio per renderlo nuovamente utilizzabile e 14 milioni di posti di lavoro nel settore della produzione di elettricità con pannelli solari. Scendendo poi verso settori con numeri più bassi l'elenco si allunga. L’economia circolare non è, però, una soluzione a breve termine e soprattutto non potrà avere un impatto a breve su tutti i settori produttivi interessati. Calcoli alla mano le previsioni ci dicono che l’impatto sarà grande, positivo sui lunghi termini, ma servirà inevitabilmente anche lo sviluppo di politiche di riqualificazione dei lavoratori per accompagnarli dai lavori che scompariranno a quelli che si potranno creare.

Giovanni Bozzetti